Napoli è da sempre una delle città più conosciute al mondo, è per molti una meta da non perdere, un luogo della memoria e della bellezza, una concentrazione straordinaria di meraviglie e di fenomeni naturali, di opere d’arte che attraversano i secoli e lo spazio della città, è un mercato confuso e continuamente rimescolato di cianfrusaglie e manufatti artistici, il luogo delle canzoni famose e dei rumori assordanti, di urla e di armonie vocali e gestuali. La cucina e la gastronomia napoletane si sovrappongono perfettamente a questo labirinto, una miniera di pietanze elaborate e raffinate e, parimenti, una varietà unica di pietanze popolari, semplici, dal profumo delicato o anche dal gusto forte; l’elaborazione e la semplicità esaltano, entrambe, il gusto dei meravigliosi prodotti della terra e del mare che la circondano.
Negli ultimi anni la pratica generale del mordi e fuggi, del turismo superficialmente folkloristico, la deleteria prevaricazione della quantità sulla qualità hanno snaturato l’offerta gastronomica napoletana; l’immaginario collettivo quindi si concentra su pochissime pietanze, peraltro avulse dal contesto di convivialità e di godimento anche estetico che erano gli elementi fondanti della cucina napoletana, frutto di una profonda ed originale rielaborazione di pietanze antiche o assimilate da altre culture.
A Napoli, come in altre città europee, l’evoluzione della gastronomia si è intrecciata con l’affermarsi della grandi manifatture ceramiche, la cui originalità si deve anche alle produzioni destinate al servizio di pietanze e bevande, ai convivi ed alle celebrazioni di ricorrenze religiose o laiche. Il progetto de “il gusto buono di Napoli”, senza nostalgie o passatismi, vuole recuperare la complessa dimensione del mangiare bene, che già maestri del passato intendevano come frutto unico di degustazione di cibo e di bevande, di ammirazione delle tavole imbandite e di godimento della conversazione.